Recensione di Allegro, non troppo
Allegro, non troppo
di Giorgio Ghibaudo
I teatri, finalmente, uno dopo l’altro, stanno riaprendo. Il Teatro dei Filodrammatici di Milano, con la nona edizione del festival Lecite/visioni – Storie di amori LGBT è stato uno dei primi
Tra i cinque spettacoli in cartellone nella rassegna, la stand up comedy Allegro, non troppo.
In scena l’attore Lorenzo Balducci, alla regia Mariano Lamberti, autore del testo insieme a Riccardo Pechini.
Trama… Una stand up comedy può avere una trama? Forse sì, forse no.
Il tema? Anzi, i temi? La comunità LGBTQIA+ di oggi, la realtà italiana e internazionale, il bullismo omolesbobitransfobico, l’omolesbobitransfobia interiorizzata, Grinder (e tutto il body shaming, il fat shaming, l’ageismo e il surrealismo postmoderno che questa app per incontri si porta dietro), il coming out e il chem sex. E poi l’HIV, gli incontri al buio (buio metaforico o meno che sia), la Russia intollerante, violenta e putiniana (sì, quella della caccia all’omo), Toto Cutugno (non un omonimo, proprio lui), Mario Mieli, l’attivismo, i moti allo Stonewall Inn, le “velate”, gli stereotipi che ci ingabbiano, il coraggio di essere se stessi.
In poco meno di due ore di spettacolo vengono citati uno per uno gli omofobi italiani di tutti i tempi: i soliti noti (Zeffirelli, Meloni, Platinette, Zero & C) e gli insospettabili (Domenico Modugno e Eduardo De Filippo… Loro?! Ma no?! Ma sì!). Si parla di Thomas Mann, il celebre autore tedesco de La montagna incantata, omosessuale (non dichiarato, ma praticante) e al contempo omofobo, inflessibile vessillifero del matrimonio eterosessuale, che si permetteva (l’ipocrita!) atteggiamenti sprezzanti nei confronti dell’orientamento sessuale di Erika e Klaus, due dei suoi sei figli.
Si gioca con l’ironia e l’autoironia, qui. Si accenna a cosa significhi il passare del tempo quando sei gay (uno dei protagonisti della serie TV Looking diceva “Quando compi quarant’anni, Grinder ti spedisce a casa il certificato di morte”), a cosa significhi essere una persona LGBTQIA+ in una società come la nostra, ottusa, che ancora stenta a diventare moderna, civile, adulta.
In Allegro, non troppo l’accoppiata Lamberti-Balducci torna a far parlare di sé dopo l’esperienza cinematografica di Good As You – Tutti i colori dell’amore.
Allegro, non troppo è forse una stand up comedy buonista?
Col cavolo!
Allegro, non troppo è politicamente corretta?
Non direi proprio.
Il testo con le sue battute e le sue frecciate non risparmia niente e nessuno (a volte, in modo condivisibile, altre, a mio parere, un po’ meno), ma preferisco non anticiparvi nulla riguardo a ciò, suggerendovi invece di assistere di persona a una delle (speriamo numerose) prossime repliche.
Uno spettacolo con due anime, questo, diviso idealmente in altrettante parti. La prima, è ridanciana, corrosiva, cattiva, sarcastica e viperesca. Brillante e critica al contempo, si dimostra chiara, acuta e profonda senza risultare mai saccente, didattica o didascalica. La seconda è invece più intimista, fatta di chiaroscuri, in cui Lorenzo Balducci esce dal personaggio Balducci-commediante (al quale ci ha abituati nei suoi ormai celebri video molto pop e assai camp) per mettere in scena Balducci stesso: una confessione spontanea, lunga, inattesa e disarmante. Il suo coming out soffertissimo con i genitori, le sessioni di chem sex (vuote e in apparenza soddisfacenti, tanto quanto obnubilanti e alienanti) e una psicoterapia salvifica che pare essere arrivata, per l’attore Balducci e per l’uomo Balducci, proprio nel momento giusto.
Intanto, a sipario chiuso e riflettori spenti, Mariano Lamberti e Lorenzo Balducci hanno risposto ad alcune domande.
Mariano, il titolo del tuo film Good As You, “nascondeva” al suo interno la parola GAY. Cosa si cela, invece, dietro a quello di Allegro, non troppo? E soprattutto, perché?
Il titolo gioca un po’ sul significato di gay nella lingua anglosassone, che significa allegro. Ma visto tutto il background doloroso, nevrotico e di segregazione, che ha subito il popolo lgbt nel corso della storia, era un modo per sdrammatizzare, ma anche per sottolineare la dolorosa presa di identità della comunità lgbt
Immagina per un momento di dovere per forza fare un’aggiunta al testo del tuo spettacolo. Di cosa vorresti ancora parlare? Quali altri temi farebbero parte di Allegro, non troppo? Quali altre personalità del mondo della politica e dello spettacolo dovrebbero in quel caso iniziare a temere i tuoi strali?
Forse una cosa di cui avrei potuto parlare di più è un certo conformismo della comunità gay, quando vuole sentirsi rassicurata nella propria autorappresentazione. Il buonismo, di cui a volte si compiacciono alcune rappresentazioni, cinematografiche soprattutto, senza considerare che invece parlare delle proprie nevrosi non solo è liberatorio, ma anche salutare nella costruzione di un’identità forte.
Diciamo che non ho risparmiato nessuno dei big famosi della comunità… Le poche persone che abbiamo risparmiato si trovano in un momento magari delicato della loro vita, per cui non ci sembrava il caso di infierire, in particolare con un cantante molto famoso di cui abbiamo discusso parecchio con Riccardo Pechini e con Lorenzo, di cui ovviamente non farò il nome
Invece a te, Lorenzo, chiedo, oltre alla paura folle che avevi di andare per la prima volta in scena come stand up comedian a reggere, da solo sul palco, uno spettacolo intero, a cos’altro pensavi un attimo prima che i riflettori si accendessero? E quali sono i messaggi che Allegro, non troppo vuole portare al vostro pubblico?
Prima di salire sul palco pensavo: sono solo. Non ho mai aspettato l’entrata in scena senza la complicità e il sostegno di altri colleghi. Stavolta sentivo un profondo silenzio. Una grande solitudine. Necessaria. Mariano mi aveva appena incoraggiato dicendomi : “credo in te.” E questo mi ha dato grande forza. Ma gli ultimi cinque minuti li ho passati facendo avanti e indietro lungo il corridoio dei camerini. Respiravo profondamente. E ho capito che un’esperienza così grande mi avrebbe aiutato a crescere anche come persona.
E poi ho pensato ai miei nonni, ho portato una loro foto con me.
Credo che uno dei messaggi più importanti dello spettacolo sia il diritto sacrosanto di ogni essere umano ad essere se stesso, ad amare ed amarsi, senza vergogna. A rispettare gli altri e rispettarci.
Ad accettare la vita così com’è, amarla così com’è.
Normalmente non credo nell’idea del “messaggio”, preferisco l’idea di raccontare una realtà, dei fatti, chiaramente con un punto di vista, lasciando una suggestione, provocando una reazione.
Sulla tua maglietta di scena c’è scritto Elektra Abundance, ovvero il nome della personaggia cinica e sassy della serie Tv Pose, interpretata dall’attrice nera transgender Dominique Jackson, che tu tra l’altro “citi” con un lip sync nella parte finale dello spettacolo. Come mai? Una scelta tua? Di Mariano? O di entrambi?
La scelta della maglietta è stata una mia idea, ho fatto una sorpresa a Mariano il giorno della prima. Gli ho detto: ho stampato su una maglietta il nome di una persona che mi porterà fortuna, che rappresenta per me il coraggio, la forza, la fiducia in se stessi, l’irriverenza, l’audacia di cui avevo bisogno su quel palco. Avevo bisogno di un simbolo.